Poco dopo le 16 il corteo si è mosso da piazza Vittorio. Le presenze, che subiranno un incremento lungo il tragitto, alla fine saranno più di 1000. Alla partenza, oltre agli anarchici, gli studenti che hanno occupato Lettere alla Sapienza, qualche militante dei centri sociali a titolo personale, curiosi e solidali di estrazione politica non identificabile ed è parso di riconoscere l’attore Valerio Mastandrea, firmatario, assieme a Jasmine Trinca, Ascanio Celestini e altri artisti, di un appello a favore di Cospito. Un centinaio sono i cronisti che documenteranno la manifestazione e che hanno preceduto la testa del corteo; sono stati invitati a stare alla larga e a non fare foto e riprese. Del resto la scritta “giornalisti sciacalli” era già apparsa sul telo del furgone con le casse a piazza Vittorio, sulla fiancata del quale campeggiavano anche due pugni che divaricano i polsi ammanettati. Cordoni di polizia in tenuta antisommossa e blindati hanno preceduto e chiuso il corteo che è passato da Porta Maggiore (qui il dispiegamento a difesa della concessionaria della Jeep all’incrocio tra via Manzoni e via di Porta Maggiore era più ingente) e si è diretto al Pigneto, dove si è sciolto in serata. I celerini erano schierati lungo tutto il percorso, soprattutto ai lati, a protezione dei negozi con le saracinesche già abbassate. Tutta la manifestazione si è svolta in maniera tranquilla, fino a Largo Preneste, quando nella coda del corteo è partita la prima carica dei celerini a cui poco dopo è seguita una seconda carica; il tutto si è chiuso in una decina di minuti. A parte tre fermati (sempre in fondo al corteo) e due feriti dai colpi di tonfa assestati con la solita brutalità dai legionari in blu, il corteo si è disperso senza grande clamore, proprio com’era iniziato. A dimostrazione che, nonostante la rabbia della piazza, in questo caso riguardante l’assurda vicenda Cospito e ribadita con forza da slogan come “fuori Alfredo dal 41 bis” o “Fuori tutti dalle galere, dentro nessuno, solo macerie”, la montatura mediatica voluta dal governo, evidenzia solo una volontà di repressione quale unica ricetta per affrontare il dissenso e il disagio sociale.